Dipartimento di Fisica “Giuseppe Occhialini”
Il gruppo di ricercatori del Dipartimento di Fisica composto da Massimiliano Clemenza, Giulia Marcucci, Daniela Di Martino, Roberta Cattaneo e Giuseppe Gorini da alcuni anni si occupa di applicare tecniche analitiche non distruttive tipiche della fisica nucleare, quali le indagini di imaging neutronico e la spettroscopia muonica, in ambito archeometrico per la caratterizzazione elementale di manufatti.
Presso il centro LENA (Pavia) è attivo il reattore TRIGA Mark II, una sorgente di neutroni adatta sia per l’attivazione gamma che per l’imaging. Facendo seguito al progetto CHNet-TANDEM (finanziato dalla commissione V INFN) per analisi di attivazione gamma in ambito archeometrico, presso il Dipartimento di Fisica è nato il progetto CHNet-NICHE (Neutron imaging for Cultural HEritage) che intende realizzare la prima facility di radiografia e tomografia neutronica in Italia utilizzabile da utenti esterni e, in particolare, fruibile per le analisi di opere, reperti storici e manufatti nell’ambito dei beni culturali. Sebbene l’analisi tomografica X sia una tecnica di indagine consolidata, la tomografia neutronica fornisce informazioni diverse e complementari. Infatti, mentre i raggi X, come noto, vengono maggiormente schermati dagli elementi pesanti, per i neutroni l’attenuazione dipende dai nuclei ed elementi leggeri come l’idrogeno e il boro risultano praticamente opachi.
La spettroscopia a raggi X da atomi muonici è una tecnica innovativa per analisi di composizione elementale sia qualitativa che quantitativa, che si basa sugli stessi principi della spettroscopia a raggi X standard. La tecnica muonica in ambito archeologico viene sfruttata per il suo carattere non distruttivo. Il muone è una particella elementare che interagisce in maniera simile all’elettrone, ma con una massa 200 volte superiore. La tecnica si basa sulla creazione di atomi muonici in stati altamente eccitati, in cui un muone negativo prende il posto di un elettrone: nel processo di decadimento vengono emessi raggi X caratteristici dell’atomo con energie 200 volte maggiori dei corrispondenti raggi X elettronici, raggiungendo anche diversi MeV. Le proprietà del muone permettono, pertanto, di rilevare elementi leggeri come il litio, di penetrare maggiormente nei campioni rispetto ai protoni impiegati nelle tecniche PIXE/PIGE e quindi di individuare la composizione elementale anche a qualche centimetro di spessore, senza alcun rischio di attivazione del materiale. Inoltre, è possibile cambiare la profondità di impiantazione dei muoni variando il momento del fascio con cui si irraggia il campione. Uno studio di fattibilità della tecnica è stato condotto presso il centro di ricerca ISIS, sorgente impulsata di neutroni e muoni in Inghilterra. Due campioni archeologici di navicelle votive nuragiche (età del ferro - X–VII secolo a.C.), provenienti dal sito archeologico denominato “Tomba delle tre navicelle” (Vetulonia) e conservate al Museo Archeologico Nazionale di Firenze, sono state analizzate per indagarne la tecnica di produzione. Tramite la spettroscopia muonica, sono stati determinati i rapporti di stagno-rame e piombo-rame dello scafo e delle diverse strutture componenti le navicelle votive, a profondità differenti. I risultati preliminari mostrano una diversa qualità della lega metallica ternaria tra lo scafo e la protome, in particolare un maggior contenuto di piombo e stagno nella protome suggerendo l’utilizzo di una diversa temperatura di fusione. Recentemente con Mario Marini, Margaux Bouzin, Laura Sironi, Laura D’Alfonso, Roberto Colombo, Giuseppe Chirico e Maddalena Collini, abbiamo testato una tecnica di termografia infrarossa (Bouzin et al. Nat. Comm. 2019) in grado di fornire immagini termiche di campioni solidi mediante una termocamera convenzionale su scale mesoscopiche (mm2-cm2) ad elevata risoluzione spaziale (∼10 μm). Questa tecnica si basa sulla localizzazione di incrementi di temperatura indotti sequenzialmente sul campione dall’assorbimento di luce laser focalizzata, e combina la quantificazione della temperatura con informazioni sulla conducibilità termica del materiale noti lo spessore e la potenza assorbita. La tecnica è stata applicata ad un campione di canna d’organo del 18-esimo secolo gentilmente fornita dal restauratore Claudio Bonizzi (Ditta Inzoli Cav. Pacifico, Crema). La lamina, a base di stagno, mostra evidenti segni di ossidazione e alterazioni riconducibili alla nota “peste dello stagno”. La nostra analisi nell’infrarosso ha mostrato la possibilità di relazionare isole di diversa conducibilità e spessore allo stato di deterioramento del campione, rivelandosi così una tecnica promettente per la caratterizzazione non invasiva dello stato di conservazione di reperti storici.